lunedì 31 dicembre 2012

Mini-recensioni: tre libri per un post (#6)

Buongiorno a tutti, cari lettori e care lettrici!

L’anno nuovo si avvicina e io, onestamente, non vedo l’ora che il 2013 cominci. Ho tante idee e tanti progetti, tante linee che vorrei seguire e portare avanti: i buoni propositi non mancano, poco ma sicuro.
Intanto, aspettando che le ultime ore del 2012 passino, vi pubblico quelle che saranno le ultime recensioni dell’anno: tre libri di genere fantastico, tutti in un modo o nell’altro legati ad un elemento fantascientifico (piò o meno predominante, a seconda) e tutti scritti da autori italiani.

Il primo è l’opera d’esordio di Maurizio Vicedomini e si intitola Myrddin di Avalon.

Myrddin di Avalon - M. Vicedomini

Pagine:64
Editore:Edizioni Diversa Sinfonia
Anno:2012
ISBN:978-88-96086-46-9

Trama:In un futuro in cui si è riusciti a creare una macchina per viaggiare nel tempo, anche se ancora in fase sperimentale, Eveline Morvilian, studiosa della materia bretone, compie un viaggio non autorizzato per provare la veridicità storica delle leggende a cui ha dedicato tutta la sua vita. Il professor Liam Salger verrà mandato a recuperarla… ma a che prezzo e con quali conseguenze?

Quando ho letto la trama di questo libro nel post che gli ha dedicato Tanabrus ho pensato: “Ciclo bretone e viaggi nel tempo? Dev’essere mio!”. Poi ho avuto quel che si è soliti chiamare una fortuna sfacciata: l’autore sta promuovendo il suo libro su internet e mi ha offerto la possibilità di recensirlo. Ovviamente ho colto al volo l’opportunità!
A fine lettura posso dire che le mie aspettative sono state ripagate: l’autore gioca molto con le leggende bretoni e con l’eventualità che, in un lontano futuro, gran parte della documentazione di cui disponiamo non sia più consultabile, persa per sempre – non solo per quanto riguarda la mitologia, ma per ogni branca del sapere. Aggiungete due protagonisti delineati piuttosto bene (soprattutto visto che l’autore li caratterizza in poche pagine) e con un’idea di storia e destino totalmente differente, e otterrete gli ingredienti principali del libro. Eveline e Liam, infatti, sono agli antipodi: quando si ritroveranno a fronteggiare il passato, si troveranno uniti per forza di cose, ma non saranno mai d’accordo sul modo in cui agire e sul concetto di fato, di possibilità di alterare la storia o seguire il filo rosso della predestinazione.
Quest’ultimo, in particolare, è il tema portante di questo racconto lungo: tuttavia, benché lo ritenga davvero interessante, in certi punti mi è sembrato che per l’autore fosse più importante parlare di questa tematica, piuttosto che sviluppare la storia in sé. Penso che questo sbilanciamento sarebbe stato meno evidente se il racconto fosse stato più lungo – credo che dedicando più spazio allo svolgersi della trama e alla caratterizzazione dei comprimari si sarebbe giunti ad un amalgama perfetto.
Nonostante questo, il libro è davvero scorrevole e intrigante: Vicedomini sa come scrivere narrativa di genere, e non è cosa da poco. Non annoia e, salvo nei momenti di cui ho parlato qualche riga più su, non si appoggia a noiosi “spiegoni”. Le sue idee, che mischiano mitologia, fantascienza, gadget incredibili e personaggi tratti direttamente dalle leggende mi hanno divertita, intrattenuta e anche fatto riflettere un pochino.
Insomma, un’ottima prima prova: visto che l’autore ha pubblicato altre opere più corpose, sono curiosa di vedere se la mia impressione è giusta e se riuscirà a convincermi del tutto con uno sviluppo più articolato.

Voto:
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           7


Il prossimo racconto di cui vi parlerò è di un noto autore italiano di fantascienza, Francesco Verso; il titolo è Due Mondi.

Due mondi - F. Verso

Pagine:24
Editore:Kipple Officina Libraria
Anno:2012
ISBN:978-88-95-41474-4

Trama:Il mondo non è più quello che conosciamo: gli umani si sono evoluti e ora esistono due diverse specie, quella degli Acquamanti e quella degli Aeromanti, che non sono in buoni rapporti. Solo la remota possibilità di trovare una nuova speranza per la Terra porterà alcuni di loro ad unirsi per intraprendere un viaggio da cui dipenderanno le sorti di tutti.

Scrivere questo commento sarà piuttosto difficile perché, in tutta onestà, non ho molto da dire. Un racconto brevissimo che non riesce a creare una storia abbastanza interessante e intrigante – e abbiamo appena visto, con Myrddin di Avalon, che la cosa è più che fattibile.
Non sono riuscita ad apprezzare i personaggi, che secondo me sono più abbozzati che delineati, e non mi sono affatto appassionata alla loro ricerca del luogo in cui sono conservate le sorti dell’umanità. Un vero peccato, perché l’idea di nuove razze sviluppatesi da quella umana è sempre intrigante e foriera di idee e riflessioni.
Personalmente, non ho apprezzato particolarmente anche lo stile dell’autore. E’ indubbiamente riconoscibile e personale, cosa sempre apprezzabile visto che ogni scrittore dovrebbe avere una sua “voce” – tuttavia, non è nelle mie corde. Non è particolare, arzigogolato o altro: semplicemente, non mi ha trascinata nella storia. Forse anche per questo non sono riuscita ad appassionarmici.

Voto:
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       5

L’ultimo libro di cui vi parlerò è un fantasy di ambientazione nipponica: trattasi di Dark Side: Il Guerriero della Furia di Luca Besia.

Dark side - L. Besia

Pagine:350
Editore:auto-pubblicato
Anno:2011
ISBN:978-88-90-46503-1

Trama:
Siamo in un futuro lontanissimo; il mondo è tornato a una sorta di epoca medievale causata anche dal ritorno di entità sovrannaturali e di poteri occulti. Su questo sfondo si intrecciano due storie: quella di Ryoda, villaggio di Yamato (l’attuale Giappone), custode di una forza malefica causa di guerre e battaglie, e quella di Kane, mercenario vittima di una maledizione.

Recensire libri di esordienti, specie quando decidono di pubblicarsi da soli, è sempre complicato. Da una parte si ammira il coraggio di fare da sé e la fiducia che ripongono nella loro opera; dall’altra, a volte è inevitabile pensare che questa possibilità porti alla pubblicazione di storie ancora acerbe. Questo è il caso, secondo me, del libro di Luca Besia.
La mia opinione, a grandi linee, è questa: l'idea di fondo del libro è ottima, intrigante, piuttosto insolita, e avrebbe potuto essere la base di partenza per una gran bella storia, ma è appesantita da due fattori principali. Questi fattori sono l'introduzione e una certa ingenuità nello stile di scrittura.
L'introduzione è davvero troppo lunga e in percentuale occupa troppo spazio rispetto a quella che è la storia vera e propria del libro. Posso capire l’amore che l’autore prova per lo scenario che ha ideato - che è fantasioso, a modo suo realistico, affascinante, non dico di no!, ma che non era da presentare in maniera così didascalica, quasi da manualetto di saggistica, o da introduzione a un gioco di ruolo. Molti dei dettagli si sarebbero potuti inserire nello svolgimento della storia, senza aggiungere nemmeno troppe scene; molti sono assolutamente inutili alla comprensione delle vicende narrate. Il lettore non può che sentirsi appesantito dopo aver letto la "lezione" sul mondo in cui sta per entrare, iniziando così la storia col piede sbagliato.
Per quanto riguarda lo stile, ho trovato certe "ingenuità" dovute, credo, alla mancanza di esperienza e soprattutto di controllo da parte di un lettore esterno e professionista – indispensabile per sottolineare i punti di forza e limare le debolezze, eliminando i difetti. Purtroppo è un’assenza che in certi passaggi si sente, soprattutto per quanto riguarda il lessico: l’autore usa termini desueti e aulici mischiati a termini più prosaici, descrizioni piene di parole altisonanti - piccolezze che però, essendo ripetute più volte nel corso del libro, infastidiscono chi legge. In certi punti anche la punteggiatura e l’ortografia avrebbero avuto bisogno di un controllo.
Inoltre, la trama si sviluppa su piani temporali diversi e la cosa non è resa chiara fino a oltre tre quarti del libro; questo ha reso la lettura un po’ confusa e quindi meno apprezzabile.
Tuttavia, questa non vuole essere una totale stroncatura: come ho già scritto, le idee dietro alla storia mi sono piaciute molto, e quando finalmente entra in scena Kane le cose si fanno interessanti – è l’unico personaggio, insieme alla guida militare del villaggio di Ryoda, ad avere le basi per una caratterizzazione particolare e tridimensionale; è un peccato che non siano state sfruttate al meglio.
In conclusione, credo che l’autore dovrebbe continuare a esercitarsi, scrivere, scrivere e ancora scrivere, affidarsi a un lettore esterno – non dico un professionista, ma almeno un lettore “forte” – e scrivere di nuovo. Sono certa che, con il tempo e l’esperienza, le sue storie miglioreranno e diventeranno gran belle avventure.

Voto:
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     4,5


E con queste ultime recensioni vi saluto e vi auguro di salutare al meglio l’anno che va, per accogliere l’anno che viene nel migliore dei modi. Spero che sia pieno di amici, meraviglie, novità e libri!

Vostra,

Cami

martedì 25 dicembre 2012

Più libri, più liberi 2012: Bibliomania in trasferta a Roma! (… e un piccolo excursus sul Salone del Libro Usato)

Ciao a tutti, miei cari lettori e mie care lettrici! Spero che stiate passando un bel Natale, pieno di serenità e bei regali.
Io sto sfruttando questi giorni di quiete vacanziera per passare un po’ di tempo con la mia famiglia, mangiare buon cibo in quantità, leggere e preparare qualche post per voi, visto che a Gennaio comincerà la sessione d’esami.
Quello di oggi, in particolare, è un post un po’ diverso da quelli che pubblico di solito, l’avrete capito già dal titolo! Sulla scia dei miei post su Milano Bookcity, ho deciso di parlarvi della mia esperienza a Più Libri Più Liberi, la fiera della piccola e media editoria che si tiene ogni anno a Roma: spero che il mio piccolo resoconto possa piacervi.
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La capitale è sempre bella, c’è poco da fare; dopo aver passato il primo giorno in giro per la città, tra mille impegni, il 7 Dicembre sono riuscita ad andare all’EUR e immergermi nel mondo che più amo.
Gli stand erano molti e ordinati, organizzati su due piani e divisi tra spazi più ampi e corridoi un po’ stretti ma funzionali. Trovare le scale per arrivare al secondo piano è stata un’impresa, ma probabilmente è colpa del mio inesistente senso dell’orientamento!

Dato che questa esposizione è riservata agli editori indipendenti, ho avuto la possibilità di scoprire tante case editrici a me ignote: piccole e medie realtà che cercano il loro spazio, che si specializzano in pubblicazioni particolari per genere, tema o autore, che desiderano resistere. Spesso negli stand ci sono persone che fanno parte dello staff dell’editore rappresentato; in molti casi ho trovato persino gli editori stessi, pronti a parlare, spiegarsi e consigliare libri.
Non tutti, ovviamente, sono così gentili ed espansivi – non sto cercando di fare propaganda; ci sono state anche persone poco disposte al dialogo o comunque non inclini alle spiegazioni approfondite. Però, in generale, l’atmosfera era quella di un luogo adatto allo scambio di opinioni e idee e le persone dietro gli stand sono state, nella maggior parte dei casi, molto pazienti con me (che li tartassavo con domande sul loro catalogo, il loro organigramma, la distribuzione dei libri e chi più ne ha, più ne metta).
20121223_103537Ho fatto incetta di cataloghi (a un certo punto non riuscivo più a tenerli tra le braccia!) e me li sono sfogliata per bene a casa, segnandomi i titoli più interessanti e le case editrici più promettenti. Sempre a proposito dei cataloghi, mi ha fatto piacere notare quante case editrici puntino anche sui propri siti internet, che spesso mi sono stati segnalati per avere un aggiornamento puntuale e “in tempo reale” della loro offerta, senza contare i contenuti extra e le informazioni sulle pubblicazioni future. Trovo sia l’atteggiamento giusto nei confronti del web.
Sempre a proposito dell’innovazione, ho avuto un’ottima conversazione con i tipi di Transeuropa edizioni, che hanno una collana in cui i libri presentano sempre dei contenuti extra, consultabili gratuitamente online; puntano a proporre anche e-book in cui il collegamento a questi contenuti sia immediato e veloce. Spero proprio che i loro progetti si possano realizzare presto.
Un catalogo molto particolare, invece, mi ha portata ad una conversazione interessante e piacevole con le ragazze allo stand della Hacca: pensate, era prodotto con ritagli degli scarti di stampa, strisce di carta e cartoncino perfettamente utilizzabili che sarebbero finiti al macero. Un’ottima idea per risparmiare e per riutilizzare creativamente i materiali!
20121207_151430Altri editori non avevano un catalogo cartaceo, ma mi sono comunque rimasti impressi per la loro cortesia e per la gentilezza con cui hanno risposto alle mie domande: penso alla Polillo (non ho parlato direttamente con Marco Polillo – che è anche presidente dell’Associazione Italiana Editori – ma la signorina allo stand era davvero un tesoro), alla Voland (qui sì che c’era la fondatrice, Daniela Di Sora, ma non ho avuto il coraggio di dirle che ho apprezzato i suoi interventi a Milano! In compenso, abbiamo parlato del nostro comune amore per Dulce Maria Cardoso), alla Laurana (una ragazza poco più grande di me mi ha spiegato come è arrivata a lavorare per loro e mi ha dato una carica di positività non da poco!), alla A Est dell’Equatore (casa editrice composta da due fratelli pieni di energia – il sito è ancora in costruzione, ma sembra promettere bene)… insomma, ho ricevuto tanto materiale su cui riflettere e di questo sono grata.
Poi ho avuto un piccolo momento di fangirlismo (rubo il termine alla Leggivendola, sono certa che non se la prenderà) quando, passando per caso di fronte allo stand della Bao, ho visto Lui, il solo e unico Zero Calcare. Se non sapete chi è, vuol dire che non vi interessano molto i fumetti; anche in questo caso, vi consiglio di provare a leggere le sue strisce, perché sono geniali e fanno davvero ridere.
Comunque, tornando al fangirlismo… No, rendetevi conto, io nemmeno sapevo che ci sarebbe stato e BAM! lo vedo lì che fa i disegni personalizzati a chiunque gli porga una copia de La Profezia dell’Armadillo o Un Polpo alla Gola (ma penso avrebbe disegnato su qualunque cosa, era proprio preso). Ah, ovviamente, ero l’unica persona del mio gruppo a sapere chi fosse Calcare… 20121207_222425quindi saltellavo come una scema, comprando finalmente la mia copia della Profezia, mentre tutti i miei amici facevano finta di non conoscermi. Ho fatto poco più di cinque minuti di fila (chi era a Lucca ha dovuto aspettare ben di più) e ho ricevuto il mio Armadillo – con il simpatico sorriso e la stretta di mano dell’autore in omaggio.
Ovviamente anche il fondatore-direttore della Bao è stato gentilissimo e ha chiacchierato un po’ con tutti, parlando un po’ della distribuzione dei fumetti e delle graphic novel, anche lui con molta simpatia. Dev’essere un tratto distintivo di chi lavora in questa casa editrice, c’è poco da fare.
Ehm, bene, ora mi ricompongo. Torniamo a noi!
Ho passato tutta la giornata a camminare su e giù, perdermi, scrutare, sfogliare e curiosare. Insomma, a fare quel che preferisco.
20121207_152602In più anche qui, come a Torino, c’era uno spazio dedicato a Radio3 – la mia stazione radio preferita. Non potevo perdermi la trasmissione in diretta di Fahrenheit, il programma dedicato ai libri e alla cultura: quando sono arrivata si stava discutendo del Manifesto dell’Osservatorio degli Editori Indipendenti. Purtroppo non sono potuta rimanere ad ascoltare a lungo, perché si avvicinava il momento in cui avrei dovuto correre a prendere il treno per tornare a casa; tuttavia, mi sono accaparrata una copia del Manifesto e penso di leggerla a breve. Se ci saranno spunti interessanti, ve ne parlerò.
Spero proprio di poter tornare a questa fiera e ripetere l’esperienza: poter parlare così liberamente con dei veri editori è stato fantastico, per me. Purtroppo Roma è un po’ lontana da dove vivo, quindi si vedrà!
Un evento a cui sicuramente parteciperò di nuovo l’anno prossimo, invece, è il Salone del libro usato, che ho visitato l’8 Dicembre, ovvero il giorno dopo il mio ritorno dalla capitale.
Il Salone è una sorta di piccolo paradiso pieno zeppo di libri a prezzi ridicoli o di chicche altrimenti introvabili: dagli scatoloni “tutto a 1€” alle copie d’antiquariato del XIX secolo, dalle bancarelle specializzate in un certo genere (di solito fantascienza, fantasy e giallo) agli stand dove si trova di tutto un po’, fino alla parete dedicata a fumetti e manga e agli stand che strizzano un occhio ai collezionisti di poster, giornali d’epoca e francobolli. Lo ammetto, mi sono innamorata!
20121208_182417Sarà anche che era pieno di persone pronte a chiacchierare dei libri che erano esposti, a dare consigli e condividere il proprio amore per la lettura… sarà anche che ero in ottima compagnia, visto che con me c’erano Erica, ovvero la già citata Leggivendola, e Marco, ovvero Salomon Xeno (più Sabrina e Lara – non ho dimenticato i nomi, vero? La mia memoria è pessima!). E’ stato fantastico rivedere Marco e spulciare le bancarelle di fantascienza con lui (mentre Lara si aggiudicava alcuni affari mica male) ed è stato fantastico conoscere finalmente di persona Erica, che mi ha fatto arrossire tanto è stata carina con me e con cui siamo andate in cerca di edizioni classiche con belle rilegature e libri al prezzo più basso possibile (sangue ligure non mente). 
Abbiamo avuto poco tempo per chiacchierare come si deve, ma ci rifaremo in futuro, ne sono certa!
Intanto, ammetto di aver sfruttato l’occasione per prendermi un po’ di libri… con soli 12€ mi sono portata a casa sei libri, quindi sono decisamente soddisfatta. Questo è il mio bottino:
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Trattasi de L’ultimo Catone di Matilde Asensi, Il mio nome è Asher Lev di Chaim Potok, Il giorno dei Trifidi di John Wyndham, L’amore dorme nel petto del poeta di Federico Garcìa Lorca, La verità, vi prego, sull’amore di W. H. Auden e Poesie d’amore di Giuseppe D’ambrosio Angelillo.
Mi rendo conto solo ora che è un bottino per metà piuttosto romantico, ma giuro che non era intenzionale!
E con questo post chilometrico io vi saluto e vi auguro il migliore dei Natali: che sia pieno di gioia e di serenità. Mando a tutti voi un abbraccio!

Vostra,
Cami

sabato 22 dicembre 2012

Top Ten Letterarie (#3)

Buondì miei cari lettori!

Spero che l’atmosfera natalizia abbia già cominciato ad invadere tutte le vostre case; da me è tutto pronto per accogliere, nei prossimi giorni, frotte di parenti affamati. Ovviamente anche l’albero è pronto, tutto addobbato, e comincia a ospitare qualche pacchetto regalo… cosa che mi ha dato l’idea per questa terza Top Ten, scontata ma inevitabile sotto le feste: i dieci libri che mi piacerebbe trovare sotto l’albero!

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1. I miti greci di Apollodoro

I miti greci - Apollodoro

I libri della Fondazione Lorenzo Valla, in collaborazione con Mondadori, sono uno dei miei desideri proibiti. Sono edizioni curate in maniera egregia di testi classici (greci e latini) che cercano di lusingarmi e di chiamarmi come sirene… Giuro, li vorrei tutti. Sono una miniera di sapere, di passato, di cultura! Sarebbe fantastico se qualche parente molto affezionato mi portasse uno di questi libri – preferibilmente questo di Apollodoro, che è quello che desidero più di tutti!

2. L’orda del vento di Alain Damasio

L'orda del vento - A. Damasio

La trama di questo libro è fantastica e vorrei leggerlo da una vita, nella speranza che sia fantastico come sembrano suggerire le premesse. Problema: in libreria si trova decisamente poco – senza contare che ormai l’unica edizione che c’è  è quella TEA, priva dell’efficacissimo segnalibro fornito con la prima edizione Nord, dove erano segnati i nomi e i simboli di tutti i narratori che si susseguono durante il libro – e fidatevi, sono moltissimi, per cui c’è davvero bisogno di questo piccolo elenco.

3. Lo Hobbit (illustrato da Alan Lee) di J. R. R. Tolkien

Lo hobbit (illustrato da Alan Lee) - J. R. R. Tolkien

Le opere di Tolkien sono già di per sé eccezionali; quando sono affiancate dalle illustrazioni di Alan Lee, poi, diventano se possibile ancora meglio! Trovo che questo illustratore sia riuscito a cogliere l’anima della Terra di Mezzo e a renderla sempre al meglio. Ho già Il Signore degli Anelli in questa fantastica edizione (regalo dell’anno scorso dopo una sessione d’esami particolarmente proficua) e ammetto che vorrei tanto anche Lo Hobbit!

4. Fiori per Algernon di Daniel Keyes

Fiori per Algernon - D. Keyes

Un libro di fantascienza che non si trova né in libreria, né negli store online (almeno, quelli che conosco e in cui ho controllato). E’ un po’ che bazzico le bancarelle nella speranza di trovarlo, ma per ora il risultato è sempre stato negativo… Secondo me è davvero strano che sia praticamente fuori commercio, visto che ha vinto il premio Hugo quando ancora era solo un racconto breve e poi, ampliato e reso romanzo, ha vinto il premio Nebula – due tra i premi più importanti per la fantascienza.

5. L’ultimo giorno di un condannato a morte di Victor Hugo

L'ultimo giorno di un condannato a morte - V. Hugo

Onestamente, credo che ormai tutti voi siate a conoscenza del mio amore per Victor Hugo; l’inserimento di questo libro in lista non dovrebbe stupirvi più di tanto. Sto cercando di procurarmi tutta la sua bibliografia e questo è il prossimo sulla mia lista, visto che per ora mi sto occupando di tutti i libri di questo autore pubblicati da Mondadori e che mi è stato consigliato anche da un commentatore assiduo del blog, Vincenzo. I miei amici sanno della mia adorazione per Hugo, quindi… speriamo!

6. Il seggio vacante di J. K. Rowling

Il seggio vacante - J. K. Rowling

Chiunque abbia letto Harry Potter attendeva il ritorno della Rowling con ansia, timore e fiducia e io non faccio certo eccezione. Pur tentando di non avere aspettative troppo alte (perfette per rovinare qualunque lettura), devo dire che qualche pretesa ce l’ho, perché l’autrice ha dimostrato di sapere il fatto suo. Mi piace il suo stile e come organizza le trame, quindi non credo abbia avuto problemi a gestire questa storia, per quanto diversa dalle avventure ambientate a Hogwarts.

7. Tutti i racconti di Gabriel Garcìa Márquez

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Garcì Márquez è un autore per cui ho sviluppato, lentamente, un grande rispetto: ormai credo mi si possa definire una sua fervente ammiratrice. Benché sia noto soprattutto per i suoi romanzi, credo che sia uno di quegli autori che riesce a rende benissimo anche nella forma più breve del racconto: la sua raccolta Occhi di cane azzurro  mi era piaciuto molto. Per questo, quando ho visto questo omnibus in libreria, ho subito pensato che mi sarebbe piaciuto un sacco riceverlo per Natale.

8. Le Ore di Michael Cunningham

Le ore - M. Cunningham

In questi giorni in cui ero costretta a stare in casa, sotto una montagna di coperte e col termometro a portata di mano, ho avuto l’occasione di guardarmi un po’ di film. Uno di questi è stato Le Ore, con il meraviglioso trio Kidman-Moore-Streep: meraviglioso nel suo dolore. Ero a conoscenza del romanzo di Cunningham, ma non l’ho collegato al film finché non ho cercato informazioni a riguardo: visto quanto mi è piaciuta la trasposizione cinematografica, leggere il libro mi sembra il minimo!

9. Novelle Orientali di Marguerite Yourcenar

Novelle Orientali - M. Yourcenar

Da quando ho letto Memorie di Adriano, come vi ho scritto qui, sono innamorata della scrittura della Yourcenar. Spulciando tra i titoli della sua produzione letteraria sono “inciampata” in questo suo libriccino, ripubblicato pochi anni fa dalla BUR, e ho pensato che mi piacerebbe vedere come questa scrittrice si esprime quando tratta forme brevi, dato che considero i racconti un banco di prova non da poco per qualunque autore.

 

10. L’anello di Salomone di Jonathan Stroud

L'anello di Salomone - J. Stroud

Concludiamo con un libro fantasy di un autore che, per me, dovrebbero leggere tutti: Jonathan Stroud ha un umorismo fantastico e un’abilità nel tratteggiare i personaggi che reputo semplicemente incredibile. Bartimeus, il jinn protagonista della trilogia omonima, è uno dei protagonisti migliori in cui mi sia mai imbattuta: quando ho saputo che sarebbe tornato in un altro libro ho fatto i salti di gioia! Il libro ormai è uscito da un po’, ma visto che tra una cosa e l’altra non l’ho ancora preso… perché non approfittare del Natale?


E con questa si conclude la mia Top Ten natalizia; sfrutto l’occasione (in caso non riesca a pubblicare altri post nel frattempo) per augurarvi buon Natale e buone feste! Spero che riceviate tanti libri  e che possiate godervi le vacanze, brevi o lunghe che siano.

 

Un abbraccio,

Cami

giovedì 20 dicembre 2012

Il burattinaio–Francesco Barbi

Il burattinaio - F. Barbi

Titolo:Il burattinaio
Autore:Francesco Barbi

Anno:2011

Editore:Dalai editore
ISBN:978-88-6620-103-8

Pagine:525

Trama:Una nuova minaccia aleggia sulle Terre di Confine. Una profezia sembra richiamare in gioco il mostro di Giloc; il regno di Olm è in fermento; Zaccaria combatte contro demoni sin troppo vicini - uno di loro sembra non desiderare altro che riprendersi il suo posto. Mentre il Burattinaio, nell’ombra, muove i suoi fili…

Ero proprio curiosa di scoprire cosa avrebbe inventato Francesco Barbi nel suo secondo libro su Zaccaria & soci. Tornare su protagonisti già noti è sempre un azzardo, perché può spingere l’autore ad adagiarsi sui proverbiali allori e affidarsi troppo al carisma di personaggi già amati – soprattutto quando i suddetti sono tanto particolari e memorabili, come Zaccaria, Gamara e Guia, giusto per citarne tre.
Vi dico subito che, per me, la prova è stata decisamente superata: Il Burattinaio è una gran bella lettura, piena di sorprese e svolte inaspettate. Mi è proprio piaciuto!

Non mancano i difetti, ma sono pochi e non inficiano granché la lettura, quindi meglio parlarne subito e non pensarci più. Sono, essenzialmente, gli stessi del primo libro: periodi spezzettati e sintassi nominale – scelte stilistiche che di per sé non sono male, ma solo se usate con parsimonia (secondo me, ovvio). Barbi, invece, sembra amarle particolarmente: in ogni caso, la lettura non ne risente troppo e passate le prime pagine, necessarie per immergersi di nuovo nella storia e nello stile dell’autore, tutto scorre liscio come l’olio – salvo alcuni passaggi che ho trovato un poco confusionari: delle scene d’azione che, forse per il tentativo dell’autore di rendere la concitazione e il caos, sono risultate un po’ poco chiare.

Tuttavia, tutto questo passa in secondo piano, visto che sono ben presenti anche i pregi che mi avevano fatto apprezzare tanto il primo libro. La storia è di nuovo atipica e ben costruita, con un ritmo che regge  bene e senza punti morti: i personaggi rimangono il cardine di tutte le vicende e sono davvero fantastici, sempre coerenti con la loro caratterizzazione e decisamente insoliti.
Zaccaria è più cupo e consapevole, pur rimanendo il mezzo pazzo di sempre; in questo secondo libro è meno presente, ma non per questo meno importante, anzi… Barbi non si è risparmiato e gli ha imposto dei compiti e delle sventure non da poco.
Chi ha senz’altro più spazio, invece, è Gamara: il nostro cacciatore di taglie sarà fondamentale in questo capitolo e ammetto di esserne davvero felice. Tormentato, forte, chiuso e violento, pur avendo tutti gli ingredienti per essere un cliché che cammina riesce a risultare umano e credibile.
Come nel libro precedente, ho apprezzato che l’autore ci abbia fatto vedere l’evolversi della storia attraverso diversi punti di vista – sempre ben separati tra loro, ovvio! – e riuscendo a rendere vivi e reali i suoi personaggi sia attraverso loro stessi e il loro modo di osservare gli altri, sia attraverso lo sguardo degli altri su di loro. Mi è piaciuto anche che abbia limitato gli excursus in punti di vista troppo “estranei” ai personaggi principali – per carità, Barbi si riconferma un ottimo tratteggiatore di caratteri nel farlo (rende “umani” narratori che durano, solitamente, la lunghezza del capitolo – quindi poche pagine), ma sono felice che non si sia dedicato più del necessario a queste deviazioni, come invece mi era sembrato, talvolta, ne L’Acchiapparatti.

Degli avvenimenti che si susseguono in questo libro non vi parlo, perché non voglio assolutamente rovinarvi il piacere dei colpi di scena che l’autore ha piazzato lungo il corso della storia. Alcuni sono un pochino prevedibili, ma altri sono veramente incredibili e mi hanno lasciata a bocca aperta; in ogni caso, si sono sempre rivelati ben congegnati e perfetti per l’avanzamento della trama, e il tutto porta ad un finale che… no, non ve lo dico. Ma sappiate che l’ultima pagina non vi lascerà indifferenti.

L’autore, nella discussione sul gruppo Anobii in cui propone il suo romanzo in catena di lettura, ha ammesso di avere diverse idee per un eventuale seguito, ma che sicuramente non è nei suoi progetti per il futuro prossimo.
Io vi dico solo che spero proprio che Barbi torni a raccontarci i loro destini!


Voto:
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               7,5

 

Frasi e citazioni che mi hanno colpita…

  • «Ma chi… Chi sei?»
    «In questo momento direi che sono una persona che lotta per conservare la propria  identità in circostanze avverse. Come chiunque, in fondo.»

  • «Pensieri pecorelle. Sì, che hanno perduto il gregge. Ma che possono condurre il pastore su nuovi prati. Sì, sì, su nuovi prati. E ora stai buono. Sì, buono e zitto.»

  • «Sì, che le ascolta, sì, le storie… Chi le ascolta, le cambia.» […] «Ogni storia, sì, ogni storia, ha mille e mille interpretazioni. Sì, ma questo non significa, no, no che non significa… Non significa che ogni interpretazione possa avere un’esistenza. O un senso. Sì,una sensata consistenza, sì, una sensistenza! Sì, sì, perché tra l’intenzione del fatto, sì, del fatto, e l’intenzione dell’interprete, sì, dell’interprete, esiste, sì, esiste, sì, c’è, esiste…»
    Esiste l’intenzione della storia.

Buone letture!


Cami


P.S. avevo in programma di preparare molti post in questi giorni, ma sono stata vittima della sfortuna e mi sono beccata una bella tonsillite. Ora sto un po’ meglio, finalmente, ma mi sa che per questo mese alcune rubriche salteranno per mancanza di forze e di tempo. Mi dispiace un sacco! Dovrei riuscirei, comunque, a pubblicare almeno un paio di post. Il prossimo mese, se tutto va bene, dovrei riuscire a fare di meglio :)

mercoledì 5 dicembre 2012

Bookcity Milano 2012: la mia esperienza (2 di 2)

Ciao a tutti, lettori e lettrici!

Eccoci con la seconda puntata dedicata alle conferenze che ho seguito durante Bookcity Milano: purtroppo non ci saranno altre puntate, perché ho partecipato solo a questi due incontri, ma spero proprio di potermi rifare, l’anno prossimo.

Basta perdere tempo in preamboli, ecco cosa si è detto durante la conferenza dedicata alla Bibliodiversità!

[N.d.C. Come nel precedente post, ogni interlocutore avrà un colore assegnato, così da trovare subito le loro risposte, a colpo d’occhio; le domande della moderatrice e del pubblico saranno evidenziate d’azzurro]

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Rivediamo subito facce note, come Daniela di Sora ed Emilia Lodigiani (questa volta in veste di moderatrice) e facciamo la conoscenza di nuovi interlocutori, come Francesca Boragno, che gestisce la libreria omonima a Busto Arsizio, Rocco Pinto, libraio torinese, e l’altra metà del duo che gestisce Marcos y Marcos, ovvero Marco Zapparoli.

La Lodigiani non si fa problemi e affronta subito, senza mezzi termini, la questione: quali minacce si vogliono contrastare con il mantenimento della diversità? Come si ottiene questo obiettivo e, tra l’altro, è veramente buono e necessario? Per quali motivi? Non c’è il rischio di eccedere in senso opposto?

Marco Zapparoli non si fa intimidire dalla quantità e dalla portata delle domande e risponde subito dicendo che è bello che ci siano tanti editori, ma che conta soprattutto che ci siano “tante voci”, tante realtà che si distinguono in modo forte tra loro: se c’è la “voce”, unita alla competenza, ci sono più modi (stava per dire “sfumature”, ma è diventata una “parola vietata” dopo il caso editoriale di quest’estate) per rendere noto un libro. La combo perfetta, quindi, sarebbe la bibliodiversità unita alla varietà editoriale; anche perché puntare a vendere sempre di più la stessa tipologia di libro non piò che portare al crollo del sistema. Più voci equivalgono a una maggiore sostenibilità.
Aggiunge, inoltre, che anche la quantità di libri stampati è da regolare; gli indipendenti devono farlo per necessità, per migliorare e sostenere al meglio le proprie scelte, ma anche le grandi dovrebbero provare a “contenersi”. Mi permetto di aggiungere che, come ben sa chi ha letto la prima parte dedicata a Bookcity, Zapparoli parla ben conscio di quello che dice, visto che la Marcos y Marcos ha deciso di limitarsi a pubblicare tredici titoli l’anno.

Torna poi a parlare Daniela di Sora, confermando che gli indipendenti pubblicano meno titoli per forza e per scelta: in ogni caso, è necessario continuare a difendersi da una cultura che sembra ormai rappresentata solo da due o tre voci. La diversità è un arricchimento indispensabile e lei stessa, con la sua Voland, tenta di tener fede a questo proposito (e porta ad esempio la presenza di cinque autori bulgari tra quelli da lei pubblicati).

20121116_171331Riprende la parola Ginevra Bompiani, che profila la ricerca della bibliodiversità come uno scontro tra oligarchia di pochi grandi e democrazia – che magari porta ad avere tante “stupidaggini”, ma dà la completa possibilità di scelta e quindi permette di crearci una cultura personale e non imposta dal mercato. Conclude poi con una frase che ho trovato davvero molto bella e significativa: “Anche le voci che non gridano, che mormorano […] che fanno parte del silenzio, sono […] belle, interessanti, misteriose e con la bibliodiversità posso entrare nella nostra vita”.

Facciamo la conoscenza, quindi, di Francesca Boragno, che porta avanti la cartolibreria fondata dai suoi nonni a Busto Arsizio. Nemmeno lei ama girare attorno al problema e quindi sottolinea subito che i libri sono troppi e che è assolutamente necessario “tornare indietro”: la decrescita non è una scelta felice, ma è necessaria.
Parlando più in generale del proprio lavoro, afferma di poterlo classificare come “lavoro artigianale” (bisogna ordinare, scegliere, scaricare i pacchi, sistemarli… il computer aiuta solo fino a un certo punto, a quanto pare). La scelta dei libri si basa sia su ciò che effettivamente vende e serve, sia su una sorta di “sentimento romantico”.

Interviene poi il secondo libraio del gruppo, Rocco Pinto, che ha da poco aperto una piccola libreria a Torino, dove la i titoli proposti sono stati scelti appoggiandosi ai consigli dei lettori. La sua è una posizione più moderata: tanti libri (ovviamente, però, diversi), vanno bene. E’ quando “tanti” diventa “troppi” che le cose cominciano ad andare male, perché le novità durano troppo poco – lui stesso dice di non voler “evitare di essere soffocato da libri che scacciano i libri buoni”.

La moderatrice, Emilia Lodigiani, introduce un nuovo spunto di riflessione: se si cercano sempre più bestseller e si diminuiscono le tirature degli altri libri, come si può resistere all’omologazione? Inoltre, come si può mettere un argine agli “sconti selvaggi” (tenendo conto che la legge Levi non ha fatto molto e che abbiamo esempi, all’estero, decisamente più radicali).

La fondatrice di Nottetempo, dall’animo indubbiamente combattivo, afferma subito che lo Stato deve intervenire (non nasconde di “non essere liberista”). In Europa si stanno delineando due tendenze, riconducibili a due modelli: il primo è quello inglese, in cui il prezzo del libro è libero e che finirà per far chiudere prima i librai, poi i piccoli editori e le catene, lasciando piede libero ai supermercati che propongono i libri a prezzi stracciati e eliminando quasi totalmente la produzione di poesia e di traduzioni (entrambe poco remunerative). Il secondo, invece, è quello francese, in cui il prezzo del libro è fisso e lo sconto può arrivare al massimo al 5%: il risultato è un abbassamento generalizzato del prezzo, con gli editori che partono dagli stessi “blocchi” – senza contare che, in Francia, il mercato editoriale è riuscito a resistere piuttosto bene all’attuale crisi economica.
La legge Levi è, secondo lei, una “legge a metà”, la migliore possibile che si poteva ottenere all’epoca. Ora, però, i libri possono uscire immediatamente scontati durante il loro primo mese di vita, senza contare le promozioni – dov’è, dunque, l’utilità della legge? La sua opinione è che si sia è ridotto tutto al criterio puramente commerciale.

Daniela di Sora aggiunge subito che un’anomalia di cui si tiene poco conto è che i cinque grandi gruppi editoriali posseggono tutta la filiera dell’editoria, dalla produzione alla pubblicità, finendo per essere “poco democratici e nemmeno liberisti quanto si crede”.

Brochure-foto-Paolo-AntoniniTorna poi a parlare il fondatore di Marcos y Marcos, che evidenzia come l’asta al ribasso dei prezzi porti alla perdita, sul lungo termine, così come il rialzo per l’apposizione di sconti; è necessario attuare un progetto legato alla qualità e soprattutto al diritto di garantire la retribuzione di chi si occupa dei vari passaggi della filiera editoriale.

La signora Boragno sposta l’attenzione sulla realtà che conosce meglio, ovvero quella libraria, aggiungendo che il libro non è più un “bene”, ma una “merce”, e come tale viene venduto: tuttavia, molto domande fondamentali (a chi vendere, fino a quando, a che prezzo?) non trovano una risposta soddisfacente. Senza contare che i librai sembrano sempre fare la parte dei “cattivi” che non vogliono fare gli sconti, benché i loro consigli siano un servizio che offrono, gratuitamente, insieme alla vendita dei libri. Pensieri un poco amari, probabilmente dettati dalla difficile situazioni che molte piccole librerie vivono.

Si mantiene sullo stesso tono il signor Pinto: i librai “non vogliono sovvenzioni pubbliche”, ma devono capire che è necessario “fare rete”, proporre soluzioni (come quella dell’Associazione forum del libro, che prevede una bozza di legge sulla promozione editoriale) e non appoggiare una politica dei prezzi troppo discontinua, che li alza e abbassa a piacimento. Lamenta la mancanza di un progetto culturale solido, che porti ad una produzione vera, di qualità, contro una massiva ma inconcludente.

Torna a parlare la signora Bompiani, con un pensiero controcorrente rispetto a quanto detto finora: afferma che se il libro fosse considerato una merce, il lettore non si aspetterebbe di avere così tanti sconti. Spesso ci si dimentica che il libro ha un costo e proprio per questo ha un prezzo – “non si può pensare che la cultura sia gratuita, quello sarebbe il Paradiso, e noi non siamo in Paradiso” dice, in conclusione.

E proprio del prezzo parlano Daniela di Sora e la moderatrice, Emilia Lodigiani, che spiegano a noi presenti come il 50-60% del prezzo siano costi di produzione e che, per un libro di 10€, solo 3€ arrivano all’editore, che con questi soldi deve pagare la stampa, la traduzione, l’affitto degli uffici, gli stipendi degli altri collaboratori, giusto per citare le spese più importanti. I 7€ si dividono tra libraio (3€), distributore (3€) e autore (solo 1€!).
A questo punto cominciano le domande del pubblico. La prima affronta un argomento davvero spinoso, ovvero quella dei collaboratori non pagati, o pagati in ritardo – e in ogni caso, decisamente troppo poco. Fortunatamente è una piaga che non sembra affliggere le case editrici qui rappresentate; tuttavia, per quanto sia una pratica condannata all’unanimità, tutti i relatori sottolineano subito la mancanza di denaro e fondi soddisfacenti. La relatrice ci rivela che il fatturato totale dell’editoria, di 1.2 miliardi di euro, equivale a quello della Pasta Barilla – insomma, un intero settore che non può reggere il confronto nemmeno con una parte di una sola industria di altri settori. Tuttavia, Marco Zapparoli aggiunge che l’indotto dell’industria editoriale, nonostante i suoi introiti poco entusiasmanti, è vasto: ovvero, ci sono “molti” che, però, “mangiano poco”. Dà avvio, quindi, ad una difesa appassionata del proprio lavoro, scagliandosi contro il paradosso che identifica il libro come bene “non strettamente book_city_milanonecessario” e che spinge a credere di poterlo avere a prezzo qualsiasi (senza pensare che, con sconti e sovra-sconti, finirà che nessuno mangerà più). La sostenibilità, data anche da una sana concorrenza, è un obiettivo imprescindibile.

A questo si aggiungo l’annoso dilemma dell’e-book: da parte sua, la Marcos y Marcos ha deciso che non ne produrrà fino a quando non ci sarà la garanzia che non siano piratabili e che nel prezzo si possano contare anche i librai, nel rispetto della loro attività di grande valore culturale. Mi permetto di aggiungere una piccola nota personale: l’iniziativa della casa editrice è senz’altro lodevole (volere che ogni autore riceva degli introiti dai diritti d’autore è sacrosanto), ma se attendono veramente che gli e-book non siano piratabili… E’ brutto da dire, ma ci sarà sempre qualcuno che scoprirà modi di aggirare i DRM et similia e abbiamo visto come sta andando l’industria musicale, dopo che per anni si è mantenuto un atteggiamento di totale chiusura. Non dico di essere pro-pirataggio, tutt’altro! Sono fortemente contraria. Ma non produrre per paura di essere scaricati illegalmente non mi sembra il modo giusto di reagire.
Comunque, tornando alla conferenza: Zapparoli aggiunge che, per protesta contro la legge Levi, da quando è stata approvato non applicano più sconti e conclude con l’esortazione a promuovere la lettura, per creare persone desiderose di leggere e acquistare nuovi libri.

L’ultima domanda del pubblico si focalizza sulla necessità di recuperare i luoghi della lettura, come le biblioteche; il libraio Pinto si dichiara assolutamente d’accordo e auspica un maggior sostegno nei loro confronti sia da parte dei privati che del pubblico. Su questo pensiero si annuncia l’iniziativa “Adotta una Biblioteca”, che personalmente ritengo davvero fantastica.

Gli-organizzatori-di-BOOKCITY-MILANO-2012


E con questa nota speranzosa si è conclusa la conferenza e la mia piccola avventura a Milano Bookcity. Spero che queste due conferenze vi siano piaciute e che abbiate ottenuto stimoli interessanti: mi piacerebbe tantissimo sapere cosa ne pensate.

A presto; ho tanti post in preparazione che non vedo l’ora di farvi leggere!

Vostra,
Cami

venerdì 30 novembre 2012

L’Ultimo quadro di Van Gogh–Alan Zamboni

CopertinaLultimoquadrodiVanGogh

Titolo:L’ultimo quadro di Van Gogh
Autore:Alan Zamboni

Anno:2010

Editore:Infinito edizioni
ISBN:978-88-89602-73-7

Pagine:141

Trama:
Nel Luglio del 1891, un uomo appassionato dell’opera di Van Gogh arriva a Auvers-sur-Oise, ultimo luogo di residenza del tormentato pittore, per osservare alcuni quadri e per far luce sugli ultimi giorni di vita del genio olandese, ripercorrendo sia la sua che la propria esistenza.

E’ un bel po’ che medito su cosa scrivere in questa recensione; L’ultimo quadro di Van Gogh è un libro molto particolare, non per lo stile o per altri elementi particolarmente innovativi, ma per il modo in cui la storia di carta si fonde con un’altra storia, fatta di note e voci. Al libro, infatti, è allegato un concept album che ripercorre la vita del pittore e, allo stesso tempo, approfondisce la storia narrata nel romanzo.
Per quanto io ami la musica, non si può dire che sia un campo in cui mi sento “esperta”: in questo caso, tuttavia, cercherò di tenere conto anche di questa importante componente, poiché credo che non farlo sarebbe come privare la storia narrata di una buona parte della sua anima. Spero di riuscire a rendere giustizia al tutto!

Partiamo dall’elemento in cui mi trovo più a mio agio, ovvero quello letterario. Il libro, lo dico subito, è senza infamia e senza lode: una lettura piacevole, che mantiene uno stile di livello medio con alcuni punti di buona qualità.
La scelta di narrare tutto in prima persona è apprezzabile, soprattutto perché il protagonista-narratore (che rimarrà nell’anonimato) ci racconta quello che è il suo viaggio, la sua esperienza: si tratta, quindi, di una decisione dettata dal buon senso e, presumo, dal tentativo di creare una sensazione di forte immersione nella storia. Tuttavia, in certi punti l’autore “scivola” e inserisce pensieri che sarebbero stati più adatti se espressi da un narratore in terza persona: mi hanno dato l’impressione di un’osservazione troppo oggettiva delle situazioni o dei personaggi, risultando così poco naturali, perché nessuno, per quanto tenti di essere distaccato, può prescindere dal proprio punto di vista.
La caratterizzazione dei personaggi è ben fatta: si approfondisce volentieri la loro conoscenza ed è un piacere osservarli muoversi nella Francia dell’ultima parte del XIX secolo. Mi è piaciuto soprattutto come l’autore ha reso Theo Van Gogh, fratello di Vincent: non conosco approfonditamente la sua storia, ma per quel che so mi è sembrato ben presentato e storicamente verisimile. E’ un personaggio pacato, che nasconde gran parte dei suoi tormenti interiori; attraverso lo sguardo del narratore, si fa benvolere in poco tempo.
Paradossalmente, ho trovato che proprio il protagonista narrante sia stato il personaggio meno approfondito. Le sue reazioni e le sue emozioni sono umane, possiamo provare empatia nei suoi confronti, ma tutto sommato rimane piuttosto piatto: di lui, oltre alla sua ossessione per Van Gogh, non si può dire poi molto. Mi è sembrato fosse più legato alla sua funzione (permetterci di esplorare il pittore e il suo ambiente, così come i suoi ultimi giorni di vita), piuttosto che al suo essere una persona a tutto tondo.

Ho trovato molto ben delineate, invece, le ambientazioni e la loro atmosfera. Zamboni riesce a rendere, senza dilungarsi troppo, il fervore della Parigi della fine del secolo, l’aria frizzante per le novità (la Tour Eiffel era stata costruita da poco!), la meraviglia dei caffè e dei conciliaboli che vi si tenevano, la scena artistica poliedrica e incredibilmente densa; oppure, spostandosi in un ambiente totalmente diverso, riesce a dare al lettore la sensazione di opprimente oscurità che aleggia nella camera di Adeline, ragazzina interrogata dall’io narrante sulla morte di Vincent, essendo stata l’ultima persona a vederlo vivo.
Proprio lei, tra l’altro, sarà al centro di un mistero che darà qualche momento di tensione durante la lettura – ma, ovviamente, non vi rivelerò nulla! Mi limito a dire che mi è sembrato che l’autore sia riuscito a metà nel suo intento: certamente sono rimasta sorpresa da quel che si scopre su Adeline, ma non ho gradito allo stesso modo i discorsi riguardanti la fine di Vincent.

Due note finali, infine, su introduzioni, particolarità grafiche e appendici: ho trovato molto utile il glossario, perfetto per chi non è molto informato sul periodo e sulle personalità dell’epoca in cui si svolge il romanzo, ma non sopportavo che tutte le parole straniere, anche i nomi delle vie, di luoghi e di parole ormai ben note (quali “madame” e “monsieur”) fossero scritte in corsivo.
Mi è sembrato un poco eccessivo anche l’inserimento di un’introduzione, una prefazione e una postfazione. Sono molto carine, indubbiamente, ma pare quasi siano state messe lì per “nobilitare” il libro, che invece cammina bene sulle sue gambe, anche grazie al CD – che, per inciso, è davvero particolare e si è rivelato un ottimo ascolto, sia come sottofondo durante la lettura, sia come opera a sé. La musica è suggestiva, perfettamente inserita nello spirito dell’epoca, e i testi non sono da meno.
La musica è stata composta da Alan Zamboni e da Angel Galzerano con la collaborazione di Gianmarco Astori, e tutti e tre sono presenti come interpreti (da musicisti e, nel caso di Zamboni, anche come cantanti) nel CD, in cui partecipa, come lettrice di alcuni frammenti, Anna Maria di Lena.

Ciò che più mi è rimasto di questo libro, alla fin fine, è la profonda passione che l’autore prova nei confronti del pittore olandese – sentimento che ha infuso con forza all’interno della storia. Magari non è riuscito a creare un romanzo perfetto, ma sicuramente è riuscito a far arrivare a me, lettrice, l’ammirazione – che condivido, in tutto e per tutto – per il genio, troppo a lungo incompreso, di Van Gogh.

 

Voto:
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          7

 

Frasi e citazioni che mi hanno colpita…

  • Anche allora non ero riuscito a fare commenti. All’epoca pensai fosse un mio limite, adesso cominciavo a credere che quell’effetto, quella capacità di zittire il banale, fosse invece un sacrosanto privilegio che l’arte si concedeva.
  • Van Gogh era uno straniero e sicuramente nel corso di quei due mesi che aveva vissuto lì non era riuscito a sentirsi a casa sua. Ma forse Vincent era stato straniero ovunque. Aveva viaggiato, come un treno, sostando talvolta in qualche stazione. Un treno fermo in una stazione la identifica come tale, ma non le appartiene. Alla stazione appartiene il silenzio, il vuoto e l’attesa; e ogni volta Vincent ripartiva, forse perché c’era troppo silenzio, troppo vuoto e la gente aspettava sempre qualcos’altro.

Al prossimo post,

Cami

 

P.S. La seconda parte del post sulla mia esperienza a Milano Bookcity verrà pubblicata a breve, se tutto va bene; inoltre, per Dicembre ci saranno altri post speciali… Un indizio? Verteranno di nuovo su alcune mie esperienze presso una certa fiera!

lunedì 26 novembre 2012

Bookcity Milano 2012: la mia esperienza (1 di 2)

Buongiorno a tutti, cari lettori!
Oggi vi offro un post un po’ speciale, sperando che vi possa piacere.

Come alcuni di voi (chi mi segue su Google+ o su Twitter) sanno, il 16 di questo mese sono riuscita a seguire un paio di conferenze di Bookcity Milano, un nuovo evento legato al mondo della letteratura. Ammetto che parte di me temeva di potersi trovare di fronte a una “Milano book fair – Parte seconda”; fortuna che sin dalle premesse la situazione sembrava migliore. Insomma, per Bookcity si è scomodato tutto il Castello Sforzesco, centinaia di punti sparsi per Milano, autori, professori e conferenzieri noti anche a chi non mastica l’ambiente propriamente culturale, un elenco di attività e incontri da far invidia…
Sono felice di dirvi che le mie aspettative sono state pienamente soddisfatte e che partecipare a questo evento mi è piaciuto moltissimo. L’anno prossimo mi organizzerò meglio (e con un po’ d’anticipo) e cercherò di seguire quante più attività possibile – non dubito che la puntata 1 di questo evento (questa è stata prudentemente chiamata “puntata 0”) sarà anche meglio di quella di quest’anno.

Ma torniamo al presente e, in particolare, alle due conferenze che ho seguito. Visto che hanno trattato di argomenti particolarmente interessanti, ovvero cosa spinge un editore a scegliere un libro da pubblicare e la bibliodiversità, ho pensato di prendere qualche appunto e di parlarvene qui su Bibliomania. Visto che sono state conferenze molto dense, ho deciso di fare due post, così potrò dedicare ad ognuna delle due conferenze lo spazio che merita. Spero che la mia idea vi piaccia e che questi post portino a tante discussioni interessanti.

[NdC: ho evidenziato i nomi delle relatrici con colori diversi, per rendere più agevole e chiara la lettura. Le domande sono evidenziate d’azzurro.]bookcity1

La prima conferenza che ho seguito è stata quella sulla selezione editoriale. Le relatrici sono state molto chiare e appassionate nelle loro spiegazioni, sfoggiando anche una buona dose di ironia. Si poteva percepire chiaramente il loro desiderio di far conoscere delle realtà complicate, ma anche piene di soddisfazioni, come quelle dell’editoria indipendente.

Per rompere il ghiaccio, Alessandro Beretta ha chiesto a questo fantastico quartetto di donne di presentarsi e di introdurre la loro casa editrice. Comincia Emilia Lodigiani, fondatrice di Iperborea (che quest’anno compie 25 anni! Auguri!). La signora Lodigiani ci tiene a sottolineare il mantenimento della fede al progetto iniziale, ovvero la volontà di promuovere la letteratura del Nord Europa in Italia: questa specializzazione, chiaramente, la porta ad affrontare la selezione in modo diverso rispetto alle sue colleghe, poiché lavora principalmente su libri già pubblicati e quindi già passati attraverso una certa scrematura. Ovviamente, però, lei compie un’ulteriore raffinatura, scegliendo i libri che reputa adatti per il mercato italiano e che sono di suo gusto – com’è giusto che sia, aggiungo io.
In generale, accettano 1/6 dei libri proposti dalle case editrici nordiche e spesso cercano di pubblicare ciò che viene proposto direttamente dai traduttori, che non di rado propongono per la pubblicazione libri che, per passione, hanno già tradotto, senza sapere se ci fosse la possibilità di un effettivo riscontro positivo.
Pubblicano circa 18 libri l’anno e al momento lo staff di Iperborea consta di 8 persone.

Continua Claudia Tarolo, voce femminile del duo di Marcos y Marcos. Subito si presenta come una donna dalla battuta facile: comincia dicendo che, quando le arriva un libro di un autore nordico, il primo pensiero che le viene in mente è “se arriva dal Nord e non è stato pubblicato da Iperborea, ci facciamo due domande!”. Una bella dimostrazione di stima, senza dubbio. Tornando più seria, la signora Tarolo ha specificato che la sua casa editrice utilizza vari canali attraverso cui riceve proposte (editori stranieri, traduttori, scout letterari, la proposta di manoscritti da parte degli stessi autori – pensate, gli arrivano da 10 a 20 buste al giorno da parte di aspiranti scrittori!), ma che ama anche andarsi a cercare personalmente libri interessanti, cercandoli nelle librerie all’estero, nei cataloghi di editori di tutto il mondo, girovagando per la rete…
La Marcos y Marcos, poi, si distingue per aver scelto di ridurre la produzione editoriale, limitandosi alla pubblicazione di 13 novità l’anno, scegliendo solo libri in cui si crede fino in fondo e su cui si punta tutto, dedicandogli la massima attenzione. Lo staff consta di 9 persone.

Si presenta poi Daniela di Sora, fondatrice di Voland, che esordisce definendo la propria linea editoriale come un incrocio tra le due appena presentate: inizialmente si occupava solo di letteratura slava, ma ha dovuto rinunciare per la mancanza di introiti. Decide allora di aprire a tutti gli altri paesi, cercando però di mantenere il focus su autori di zone poco conosciute dai lettori italiani, come la Catalogna e il Belgio; evita, dunque, le letteratura già ampiamente esplorate, come quella anglofona. In generale evitano anche di pubblicare italiani, salvo eccezioni: agli aspiranti autori che le inviano i loro manoscritti risponde spesso di controllare meglio il catalogo della casa editrice cui si invia il libro, per non spedirlo a realtà (come quella di Voland) evidentemente non propense alla pubblicazione dei loro libri.
In casa editrice sono in cinque e pubblicano, negli “anni grassi”, un massimo di 22-23 libri l’anno – mai di più.

A questo punto si aggiunge Ginevra Bompiani, direttrice di Nottetempo, arrivata dopo a causa del ritardo di un treno (o così mi pare di aver capito). Per quanto riguarda la sua casa editrice, la signora Bompiani afferma di non aver mai avuto un ambito specifico: si dà uno sguardo particolare a due antipodi, ovvero all’Italia e a paesi “dall’altra parte del mondo”, a libri pubblicati in lingue sconosciute, quasi a “indovinare” dai samples (poche pagine tradotte – spesso in un inglese approssimativo, pare – ad uso e consumo degli editori stranieri) come sarà il libro intero.
Ora accettano anche l’invio di opere in formato .pdf, per evitare di essere sommersi dalla carta – anche se in un certo senso preferiva l’invio dei cartacei, perché poneva un “freno”: è più dispendioso e difficile inviare molti manoscritti a molte case editrici, mentre fare un invio multiplo a 200 e-mail è facile. La Bompiani ha messo ben in chiaro che, se subodorano questa cosa, difficilmente prenderà in considerazione il libro proposto: vuole un rapporto diretto, di scelta decisa e di fiducia.

20121116_135748A questo punto, il moderatore Beretta lancia un input: il verbo tematico, in tutti questi discorsi, sembra essere “credere”, ovvero avere fiducia nei libri che si decide di pubblicare.

Subito la signora Bompiani identifica il verbo “credere” con il verbo “piacere”, identificando il gradimento personale come primo criterio assoluto (quindi, “si pubblica ciò che all’editore piace”). Si crea un rapporto a tu per tu con ogni manoscritto, almeno nelle realtà indipendenti: si pone infatti l’accento sulla sostanziale differenza tra il pensiero da editore indipendente (definito “desperate housewife dell’editoria”) e quello manageriale, che si appoggia a parametri più oggettivi per la scelta dei testi da pubblicare (vendite all’estero, dati dell’autore…).
Non che gli indipendenti non tengano conto di questi dati: semplicemente, per usare le parole della direttrice di Nottetempo, “se ne dimentica” per un po’, perché sceglie prima di tutto ciò che incanta e cattura, guardando meno alla commerciabilità.

La signora di Sora mostra nuovamente di sapersi porre nel giusto mezzo, affermando di conciliare i due macro-criteri identificati dalla Bompiani. Molto schiettamente, ammette di rinunciare alle pubblicazione di libri che le piacciono, ma di cui intuisce l’incapacità di arrivare al mercato; le uniche eccezioni che fa sono quelle legate ad autori su cui punta a prescindere, poiché la sua non è una politica editoriale legata al titolo, ma legata a tutta la produzione di un autore – di cui, quindi, si pubblicano anche libri più “deboli”, ma necessari per comprendere appieno il suo sviluppo.
Sottolinea, però, di non aver mai pubblicato un libro solo perché vendibile – ricollegandosi, dunque, all’importanza del gradimento personale.

Torna poi a parlare la signora Tarolo, che sottolinea un concetto per me molto importante, ovvero la necessità che un libro esca con la giusta casa editrice: Marcos y Marcos, ad esempio, ha ripubblicato libri già editi e andati male non per la loro qualità, ma per vari criteri esterni, come la tempistica o altri problemi che sorgono in seno alle grandi case editrici, che sono “forti, ma meno flessibili”. Un esempio di questa politica è stato il ritorno in libreria di John Kennedy Toole, pubblicato anni orsono dalla Rizzoli e andato miseramente: ora, ripubblicato, è il maggior successo della sua casa editrice.
Anche lei, comunque, sottolinea l’importanza di amare i libri che si portano in libreria, perché “non sarebbe in grado di sostenere” un libro che non ama.

La signora Lodigiani, infine, pone l’accento su un problema ben preciso, ovvero sul tempo di durata di un libro sugli scaffali delle librerie. A dire il vero non ci si sofferma troppo, ma declina questo ragionamento secondo quello che tenta di fare lei con la sua casa editrice: si cerca di tenerli sugli scaffali a lungo (non per un mese, come capita con certe altre case editrici, aggiungo io), perché così hanno il tempo di “scoprire il loro lettore”, creando nel frattempo uno “zoccolo duro” di appassionati, pieni di fiducia verso il marchio editoriale.
Per quanto riguarda i criteri di scelta che la spingono a preferire un libro a un altro, la direttrice di Iperborea delinea tre criteri fondamentali, ovvero un buon livello letterario, una storia appassionante (per cosa dice e per come lo dice) e l’interrogazione continua sul nostro posto nella società. Si sente la passione che questa donna prova per la letteratura nordica, posso assicurarvelo!

A questo punto il tempo sta per finire e, volendo concedere qualche momento anche al pubblico, il moderatore pone un’ultima domanda, ovvero come viene gestito il rapporto con gli esordienti e come si scelgono i classici da riproporre.

book_city_milanoComincia a parlare Claudia Tarolo, che subito ammette di avere un rapporto ambivalente, perché sono oppressi dagli arrivi delle proposte degli esordienti. Dice che “è difficile trovare chi non scrive” e porta subito esempi di momenti imbarazzanti (e, per noi che ascoltavamo, estremamente divertenti) come, per dirne uno, il professore di greco della figlia che, saputo il lavoro della madre, le chiede di leggere il suo manoscritto (ditemi voi, poi, come avrebbe potuto comunicare un rifiuto – e chissà che voti avrebbe assegnato il docente, da quel momento in poi…!) . E’ arrivata a nascondere, in certi casi, la propria professione, sempre per il timore di sentirsi proporre un manoscritto.
In generale, comunque, ammette di preferire la scelta e la scoperta di inediti, piuttosto che la traduzione di libri già pubblicati in altri paesi, perché sapere che “in mezzo al mucchio c’è qualcosa di bellissimo” le dà grandi soddisfazioni.

Ginevra Bompiani concorda con la Tarolo e porta come esempio un ricordo personale, ovvero il suo primo incontro con Milena Agus, prima attraverso la lettera di presentazione e poi con la lettura del libro. Afferma anche che la selezione di un manoscritto non implica, in realtà, che ci sia un soggetto che sceglie un oggetto, ma assomiglia piuttosto all’incontro tra due soggetti imperfetti.

A spezzare una lancia per le traduzioni ci pensa Daniela di Sora, che parla di quanto sia altrettanto straordinario trovare autori di paesi generalmente poco frequentati dai lettori, come ad esempio la Bulgaria; la direttrice di Voland dice di sentirsi come un “ponte” tra il nostro paese e “realtà esistenti ma sconosciute”.
Riprendendo poi il discorso dei libri ripubblicati, ci tiene a sottolineare che le tirature che servono a una grande casa editrice per decretare il successo di un libro sono enormi, rispetto a quelle necessarie a case editrici di medie dimensioni.

Per Emilia Lodigiani (che, lo ricordo, è la fondatrice di Iperborea), la faccenda è ovviamente diversa. Comunque, dice di leggere le prime tre pagine di tutto quello che arriva in casa editrice, anche se palesemente inadatto alla sua linea editoriale. In certi casi ha anche inviato delle lettere di incoraggiamento, spingendo gli autori a proporsi a realtà più adatte alle loro esigenze.
Per quanto riguarda i classici stranieri, invece, spiega che la loro pubblicazione solitamente avviene in concomitanza di occasioni particolari, come centenari di nascita e morte, o l’uscita di un film, così che gli eventi facciano “da traino”.

Finite le risposte, comincia uno dei miei momenti preferiti: le domande del pubblico. Purtroppo non sono riuscita a porre la mia domanda, ma ci sono stati comunque degli spunti interessanti.
La prima domanda era una richiesta di delucidazione sui meccanismi di distribuzione. Ha risposto Emilia Lodigiani, spiegando che ogni casa editrice di medio livello si appoggia a un distributore nazionale. Ginevra Bompiani ha sottolineato che le grandi case editrici pubblicizzano solo i libri che hanno tirature dalle 10.000 copie in su, i restanti vengono lanciati sul mercato ma senza essere particolarmente seguiti. Si tira in ballo anche la Legge Levi: la fondatrice di Nottetempo ammette che si tratta di una “lotta disperata” per ottenere un po’ di visibilità contro gli sconti delle grandi realtà editoriali.
Claudia Tarolo prende la parola per un momento, lanciando una frecciata agli editori a pagamento, dicendo che “pubblicare e stampare sono due cose ben diverse”.

Un uomo chiede se davvero vengono letti tutti i manoscritti che ricevono e domanda spiegazioni sull’effettivo rapporto tra editor e autore.
Riprende subito a parlare la Tarolo, che ammette che né lei, né il resto del suo staff, ha il tempo materiale per leggere tutto (anche se vorrebbero poterlo fare). In generale, comunque, sono davvero sufficienti le prime tre pagine per decidere se vale la pena continuare o meno. Per quanto riguarda l’editing, lo definisce un lavoro condiviso in cui “l’editor incontra e stimola l’autore”.
La Bompiani, invece, dice di leggere tutto quello che arriva, appoggiandosi anche a una lettrice professionale.
La revisione del testo, invece, secondo lei dev’essere affrontata principalmente dall’autore.

Un ragazzo pone due domande ben precise: come è possibile creare un rapporto di fidelizzazione tra lettore e casa editrice e come si possono incontrare dal vivo degli editori.
Risponde prima Emilia Lodigiani, dicendo che la fidelizzazione è un risultato che si raggiunge attraverso il passaparola e l’esperienza personale, “assaggiando” vari titoli; Daniela di Sora aggiunge che spesso gioca un ruolo importante anche il consiglio di un libraio di fiducia – quando quest’ultimo è preparato, s’intende. Risponde anche alla seconda domanda, dicendo che spesso gli editori di piccole-medie dimensioni sono presenti agli stand delle fiere editoriali (dove chiacchierano più che volentieri), mentre in generale si possono incontrare durante eventi come, appunto, Milano Bookcity.

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E con queste risposte si è chiuso il primo dei due incontri che ho seguito.
Che ne pensate? Ci sono dei punti con cui siete in disaccordo, siete rimasti sorpresi da certe risposte? Apprezzate le case editrici che hanno preso parte alle discussione?

Fatemi sapere nei commenti, sapete che amo parlare con voi!

Alla prossima puntata e ai prossimi post,

Cami