mercoledì 23 dicembre 2009

Sotto l'Albero di Mimosa - Caterina Armentano

Titolo:Sotto l'Albero di Mimosa
Au
tore:Caterina Armentano

Anno:2008

Editore:
Aletti Editore
ISBN:978-887680-337-6

Pagine:
58

Trama:Una raccolta di racconti incentrata sulle donne: sottomesse, sofferenti, indecise, che amano e sono amate, o disprezzate. Una finestra su quel mondo femminile che ancora stenta a venire a galla, di tentativi di rivalsa e di scelte difficili.


Questo è un volumetto sottile, una sessantina di pagine, che però si fa spesso quando si parla del suo contenuto: i racconti qui presenti, infatti, trattano di un argomento pesante e difficile, ossia della condizione della donna, nel passato recente o ai giorni nostri. Attraverso storie di abusi e relazioni tormentate, l'autrice d
elinea la gabbia che ancora, nel XXI secolo, esiste attorno al genere femminile.

Il primo racconto (Lettera dal passato) è ambientato quando le donne erano costrette in casa, ad obbedire al marito, e sebbene iniziassero a farsi vedere le prime emancipate, che si truccavano e si vestivano come volevano, la maggior parte di loro era ancora una sorta di schiava. E' molto tenero il sentimento che pervade questo racconto, in cui la madre augura al figlio che porta in grembo di essere maschio, per non vivere in un clima d'afflizione e tristezza, senza tuttavia abbandonare la speranza di cambiare le cose e, nell'ipotesi di partorire una femmina, di permetterle un futuro migliore e diverso.
Il secondo (Lacci e catene) è forse uno dei più tristi, perchè tocca anche argomenti come le mala
ttie mentali e i disturbi psichici: commovente, eppure duro e senza sconti. Tuttavia penso che avrebbe potuto essere più lungo, perchè la fine mi è sembrata "frettolosa"; avrebbe potuto essere uno dei più belli della raccolta. Anche il terzo racconto (Riflessi di vita) è sulla stessa linea, questa volta parlando di droghe: è sicuramente una storia che lascia il segno, difficile da dimenticare. Eppure alcune frasi mi sembrano costruite in modo strano, come se il desiderio di esprimere il sentimento ed il messaggio (che, tra l'altro, sono presenti e percepibili) avesse rovinato un poco il tentativo di scrittura. La fine, la reazione della madre e della figlia, mi hanno quasi fatta piangere: rendere su carta a che punto possa giungere la disperazione è difficile, ma qui il compito viene svolto decisamente bene.
Con il quarto racconto (Artificio e ossessioni) arriviamo ad un punto spinoso: l'editing. Ho visto alcune sviste, ma niente d'importante, almeno finchè non mi sono imbattuta in un col center. Capisco
che probabilmente è stato il correttore automatico del computer, e che io su queste cose sono un po' troppo pignola, però occhio: anche queste cose, apparentemente poco importanti, possono influire sul giudizio della lettura. Nonostante tutto questo, il racconto è troppo bello perchè mi ci soffermi ancora: è la disperazione di un'anima abbandonata, rinnegata, costretta a limitarsi allo schermo del computer. Senza appoggio, con un oggetto di desiderio impossibile per cui fa di tutto. La narrazione in questo caso è perfetta, colpisce e scuote, facendo pensare; così come il quinto, Ruoli inversi, che è il mio preferito insieme a Riflessi di vita, dove si narra la malattia vista da due differenti donne, colpite da malattie di diversa gravità (una mortale, l'altra praticamente innocua) che per uno scherzo del destino subiranno un futuro inaspettato. Volevo uccidere Costanza, la donna il problema meno grave: assolutamente insopportabile! Solo a leggere mi è salito un istinto di irritazione non indifferente. D'altronde, questo è sicuramente indice di qualità della scrittrice, perchè penso fosse il suo intento nella caratterizzazione di questa donna. Fortunata, l'altra protagonista, mi ha suscitato invece immediata empatia: un bel personaggio, anche se il racconto non permette uno sviluppo totalitario. La fine è una bella sorpresa, tuttavia ho dovuto rileggerla un paio di volte perchè i repentini cambi di prospettiva creano, secondo me, un po' di confusione.
Il sesto, Sotto l'albero di mimosa, dà il titolo alla raccolta: ottima scelta, non solo per l'albero simbolo delle donne, ma anche per la storia, che sviluppa una tematica importante, ossia la di
sperazione per amore. Nonostante alcune frasi giocate un po' troppo sul clichè, per il resto è una storia ben narrata, con un inizio in climax ascendente molto intrigante, che però si perde appena sul finale, con una chiusura ottima a livello di trama ma meno buona per quanto riguarda la narrazione, rispetto al resto del racconto. Piccola postilla, mi è piaciuta l'idea del rito sotto l'albero: una trovata bella ed insolita!
Martina e il principe-orco, il settimo racconto, è quello che mi è piaciuto di meno: carina l'idea di raccontare lo sfruttamento e gli abusi attraverso la forma della fiaba, ma calcando troppo su questo aspetto si perde a parer mio il nerbo della storia, senza così riuscire ad esprimere il sen
timento di questa donna usata. Proprio un peccato, perchè nel finale, riprendendo i toni più cupi che caratterizzano altri racconti della raccolta, la storia si risolleva e guadagna punti.
Il racconto conclusivo è Eva: blasfema e fedele, che mi sembra riassuma tutto il concetto espresso nel corso dei vari racconti. Il genere femminile, benchè soppresso, benchè schiacciato dalla forza altrui e talvolta da quella dei propri sentimenti, è essenzialmente libero, proprio perchè duplice. E' un messaggio positivo, che raccoglie una richiesta di uguaglianza: è descritta una Eva, in queste due facciate, che nonostante tutto vive ancora a testa alta. Insomma, un invito per tutte le donne.

In conclusione, mi sento di dire che è un libro di piacevole lettura e non banale, soprattutto visto l'argomento trattato; lo stile dell'autrice (che potete conoscere qui) è ancora acerbo in un certo senso, ma si nota una buona predisposizione nell'espressione dei sentimenti e nelle caratterizzazioni, quindi posso solo augurarle di poter continuare a scrivere e migliorare! Magari tentando anche la stesura di un romanzo, dove la caratterizzazione dei personaggi potrebbe avere l'enfasi che merita.
Concludo indirizzandovi qui, dove se volete potrete mettervi in catena per ricevere il libro; per gli emergenti, non c'è niente di meglio che veder il proprio lavoro che gira :)

Voto:

7,5

Frasi e Citazioni che mi hanno colpita...

  • -Ti darò qualcosa per il dolore. - Non esiste nulla per l'anima di chi abbandonerò?- chiese con le lacrime agli occhi.
  • Mentre scivolava verso l'ignoto, il volto del suo amato le apparve in quel mondo artefatto e il suo cuore sobbalzò perchè il dolore era capace di farsi strada anche nei sogni, rendendo un gesto di disperazione la gabbia del proprio martirio.


Buon letture e, con un po' di ritardo, buone feste :)

Cami

sabato 19 dicembre 2009

La Cripta dei Cappuccini - Joseph Roth

Titolo:La Cripta dei Cappuccini (originale: Die Kapuzinergruft)
Autore:Joseph Roth

Anno:1938

Editore:Adelphi Edizioni
Traduzione:
Laura Terreni
ISBN:88-459-0712-0

Pagine:195


Trama:Francesco Ferdinando Trotta (chiamato così in onore
dell'allora erede al trono dell'impero austro-ungarico) racconta la sua storia, attraverso lo smembramento della sua nazione, passando per la Prima Guerra Mondiale e la lenta avanzata del partito nazionalsocialista.

Come premessa, ci tengo a dire che la trama che ho provato a delineare non rende assolutamente giustizia a questo libro. Purtroppo, riassumere tutto quello che succede nelle 195 pagine di questo volumetto è quasi impossibile, se non si vuole rovinare il piacere della lettura ad altri.

Trotta, il nostro narratore, è ciò che resta di un'antica nazione, l'Impero Austro-Ungarico e le sue cariche nobiliari, ed è insieme un perfetto rappresentante della nuova umanità, disincantata e uccisa dagli orrori della guerra, della disgregazione dei popoli, del dolore, e della vecchia umanità, così legata al nobile, al bello, all'essere diversi sotto una stessa bandiera, simboleggiata dall'Impero. Lui stesso si rende conto di essere fuori posto secondo il vecchio ordine delle cose perché, se prima della Grande Guerra questo aveva un senso, al suo ritorno il mondo sembra essersi rovesciato, e con esso le sue regole. Tuttavia, mentre proprio per questo lui non si ritiene esponente del proprio tempo noi, che invece lo leggiamo in prospettiva, dopo le esperienze della Guerre Mondiali e dall'alto di ben 70 anni, anche di più, di differenza, possiamo dire senza troppi dubbi che Trotta è un esponente dell'uomo a cavallo tra i due conflitti, con un piede nel prima, nella fine dell'800 e nell'inizio del '900, e un piede nel dopo, dal 1914 in poi.
Questo è sottolineato anche dal linguaggio, con quel sapore antico che hanno i termini caduti in disuso.

Ma, più che la storia, ciò che mi ha davvero colpito è lo stile del narratore: assolutamente superbo. Roth non si limita a descrivere meramente l’evento accaduto, lui lo narra, lo vive e lo fa vivere attraverso Trotta: assorbe l’indifferenza del personaggio, i suoi sentimenti, quella che dopo la guerra diventerà la singolare vita di un essere che sopravvive, ma non per questo si può definire sopravvissuto ad essa, e li riversa tutti insieme descrivendo l’animo dell’epoca e della guerra in modo fantastico. Gli anni della vicenda, che hanno la loro importanza nello svolgersi della trama, sono sfiorati con tocchi da maestro, senza mai fermarsi a fare una lunga riflessione sulla guerra, o su ciò che ne consegue; è forse proprio per questo che il periodo storico affiora con più forza, quando viene tirato in causa. E’ come se ad un uomo, perso nel bosco, fosse improvvisamente data una bussola: l’effetto è illuminante, deciso, ed egli può ben rendersi conto dell’utilità dell’oggetto che ha appena ricevuto, sicuramente più di chi aveva la certezza di portarselo dietro in saccoccia. Ecco: questo è l’effetto delle date che Roth sembra seminare con parsimonia, lungo il corso della narrazione.

Senza contare uno degli aspetti che più mi è piaciuto, cioè la caratterizzazione: anche i personaggi secondari che appaiono per poche pagine sono talmente ben delineati che rimangono impressi durante il racconto, come se i ricordi di Trotta fossero in qualche modo condivisi: ad esempio, il domestico Jacques (che inoltre fa parte di una scena molto commovente), o il sottotenente Krassin (che, secondo me, può anche far riflettere su come la guerra non è combattuta da buoni e cattivi, ma solo da uomini). Insomma, anche il più piccolo personaggio ha il diritto, per un momento, di rubare la scena alla trama; inutile dire che i personaggi principali sono anche meglio. Chapeu!
Di Trotta ho già parlato a lungo; sono poi presenti Branco, il cugino polacco, Reiseger, carrettieri, che hanno una parte non indifferente nella vita del giovane nobile di Sipolje, la madre di Trotta (un personaggio tanto atipico, così figlio del suo tempo, e verso la fine tenero, tanto da far pietà) ed Elizabeth (che non ho sopportato, mai: aveva il potere di farmi arrabbiare appena leggevo il suo nome sulla pagina!).

La trama si sviluppa in maniera inaspettata, con una conclusione, di fronte alla Cripta dei Cappuccini (in cui sono sepolti gli imperatori), altrettanto adatta, un punto di domanda più evocativo di mille punti fermi. In effetti, l’incipit e la fine sono state le mie parti preferite, penso.
In poche parole, un libro che consiglio di leggere; inizialmente gli avevo dato 3 stelline, ma proprio scrivendo la recensione mi sono resa conto che ne merita 4, senza alcun dubbio.


Voto:

9


Frasi e Citazioni che mi hanno colpita...

  • E a noi tutti si spezzò il cuore quando il treno lasciò con fracasso la stazione; poichè amavamo la mestizia con la stessa leggerezza con cui amavamo il piacere.
  • Ogni suo gesto, ogni sua mossa, la più piccola, la più insignificante, mi turbava profondamente, perchè ero convinto che ogni movimento della sua mano, ogni cenno del capo, ogni dondolare del piede, una lisciatina alla veste, quel bagnarsi appena le labbra alla tazzina del caffè, un fiore inatteso sul vestito, lo sfilarsi di un guanto, tradissero un chiaro, immediato rapporto con me - e con me soltanto.
  • Nel momento in cui fu lì, inevitabile, davanti a me, capii subito [...] che persino una morte assurda era preferibile ad una vita assurda. Avevo paura della morte. Questo è certo. Io non volevo restare ucciso. Volevo unicamente acquistarmi la certezza di poter morire.
  • Ma allora ero troppo giovane per dimostrare commozione senza vergogna. E da quella volta mi sono reso conto che bisogna essere ben maturi e perlomeno avere molta esperienza per mostrare un sentimento senza l'impedimento della vergogna.
  • "Tutto ciò è così grave?" dissi. "Peggio che grave, ragazzo! Quando di roba che non vale nulla si comincia a fare qualcosa che ha l'aria di valere molto! Dove andremo a finire? [...] Se si vuole imbrogliare, allora d'accordo. Ma per di più questa gente dell'imbroglio si fa anche un merito, figliolo! Capisci? [...]"
  • Ma le rivoluzioni di oggi hanno un difetto: non riescono.


Ciao, e buoni libri a tutti :D

Cami

venerdì 18 dicembre 2009

Yucatan - Andrea De Carlo

Titolo:Yucatan
Autore:
Andrea De Carlo

Anno:1986

Editore:
Bompiani
ISBN://

Pagine:195

Trama:
Dave, assistente del regista Dru Resnik, racconta dal proprio punto di vista il viaggio che porterà lui, il suo capo e un produttore nello Yucatan, alla ricerca della storia che permetterebbe di produrre un nuovo, sensazionale film. Tuttavia, le cose procedono in modo sempre più strano, conducendoli ben lontani dall'obbiettivo originale.


I libri di De Carlo mi lasciano sempre qualcosa di indefinito, qualcosa che mi fa perennemente oscillare tra le 2 e le 3 stelline, a seconda: perchè leggere i suoi libri è un piacere, perchè solitamente sono scritti bene, ma (ed è un grande ma) spesso sembrano incompleti, mancanti di trama o di senso logico e in alcuni casi, tra i quali questo, la narrazione scorre veloce, ma la storia sembra legata ad un macigno.

Questo è uno di quei libri che mi hanno lasciata un po' insoddisfatta, sia per la trama quasi inesistente, sia per i personaggi, che sono delle macchiette, caratterizzati a metà, tali da sembrare perennemente incompleti. Ad esempio, io posso dire che Dru, il regista, è un uomo che ama poter fare il divo e che ama avere molte donne, ad un certo punto viene detto che ce ne sono solo tre importanti per lui (mi permetto di dire che è stato uno spunto che poteva essere utile, se non fosse stato palesemente ignorato), ma non molto di più. Ora, come faccio io ad appassionarmi ad una storia dove quello che dovrebbe essere uno dei protagonisti principali mi fa solo fare un gran mucchio di sbadigli?
Per non parlare della perenne aria di superiorità filosofico-artistico-trascendentale che sembra circondare i nostri tre prodi per tutta la durata del libro; saccenti come se fossero gli unici al mondo ad avere la mente e gli occhi veramente aperti, mentre il resto è solo un insieme di stupidi turisti medi. Ammetto che, non essendo nemmeno sostenuta da una trama come si deve, questa scelta ha urtato non poco i miei nervi.
Inoltre, le dinamiche dei rapporti personali tra i vari personaggi e tra i personaggi e il mondo esterno sono assurde. Senza capo nè coda. Prima uno è l'amore della tua vita, subito dopo non ne sopporti la vista... certe scelte drastiche si possono fare solo se supportate da eventi letterari decenti, e io non ne ho letti.
Senza contare tutto questo concentrarsi sugli avvenimenti "mistici" in stile voodoo che sinceramente non sono stati ben spiegati: se si inseriscono degli elementi sovrannaturali, il lettore si aspetta come minimo che, entro la conclusione, questi siano spiegati, o per lo meno che gli vengano spiegate le motivazioni per cui questi sono avvenuti. L'autore qui invece sembra essersi divertito ad inserire fatti inspiegabili senza fornire assolutamente nulla per sostenerli.

Mi dispiace dover essere così cattiva, anche perchè l'idea di fondo poteva essere buona: questo personaggio sconosciuto che sembra seguire i protagonisti e mandargli messaggi, preparare qualcosa di grande, avrebbe potuto essere una storia emozionante; tuttavia, benchè De Carlo sia bravo a descrivere le incogruenze dell'animo umano e anche alcuni paesaggi suggestivi, forse in questo libro s'è perso un po' troppo, tralasciando la trama tanto da far sembrare il libro un "esercizio descrittivo". Se a questo si aggiunge la conclusione, che mi è sembrata piazzata lì per caso, quasi non si sapesse come mettere il punto finale alla storia...

Insomma, De Carlo può dare molto, ma molto di più.

Voto:

6


Frasi e Citazioni che mi hanno colpita...

  • Il fatto è che per quanto io mi sforzi di ottenere un equilibrio tra le persone che mi interessano e le diverse componenti del mio lavoro e i luoghi e i tempi e gli oggetti, finisce sempre per essere un equilibrio truccato e irregolare, composto di squilibri interni messi in modo da compensarsi l'uno con l'altro con l'aiuto di piccole leve e contrappesi nascosti. E' un equilibrio di sensi di colpa e proiezioni in avanti e promesse e finte garanzie molto più che di dati di fatto, nessuno si sognerebbe mai di considerarlo un punto di partenza per altre incasellature.
  • E' incredibile come uno riesce a convincersi delle illusioni di stabilità che si è costruito man mano, finchè di colpo si dissolvono e lo lasciano esposto, in preda ad una paura attiva e concentrata.
  • Chiunque respira e si muove in un'area racchiusa tutta la vita, e se i muri che ha intorno non gli lasciano vedere cosa c'è appena oltre quando più gli interessa, allora tende a guardare in alto e immaginare sopra di sè altri perimetri relativamente più grandi e meno facili da percorrere.

Buone letture :D

Cami